Sergio Cardinali…
Benvenuto Sergio. Ma, secondo te, ch’insegna ha smesso di apprendere?
Il solo pensare di non aver più niente da apprendere una volta salito in cattedra è sinonimo di sconfitta professionale. I grandi artisti, del passato e del presente, hanno continuato a macinare chilometri (veri o virtuali) per rincorrere gli insegnamenti dei loro predecessori. Il grande Mozart probabilmente non sarebbe tale senza i suoi viaggi in Italia e in tutta Europa.
Nel tuo caso penso di no…!
Ogni volta che sono con i miei studenti inserisco la modalità spugna e assorbo. Io entro in classe con la mia esperienza, gli allievi, in particolar modo i più giovani, rispondono con le loro intuizioni e domande, a volte impertinenti, che mettono in crisi le mie certezze di docente ma che arricchiscono le mie conoscenze.
Ti piace più fare o ricevere doni?
Entrambe le cose. Il fare presuppone un’idea confezionata su misura per chi riceve e costruisce lo stupore, che a sua volta rafforza un’amicizia, un amore o altro. Il ricevere è l’attesa di un frammento di nuovo.
La musica adeguandosi perde d’importanza?
La musica, come tutte le discipline artistiche, può rincorrere due obiettivi: cavalcare il tempo o sfidare il tempo. In alcuni rari casi entrambi i traguardi. Nel primo caso, comunque da non disprezzare, la musica si adegua al momento e ne respira l’essenza. Nel secondo i suoni ignorano la contemporaneità, prendono una strada secondaria, più scomoda e piena di pericoli… una sfida con il tempo, appunto, che si può vincere o perdere. Mozart (sempre lui) a Vienna non ha cavalcato il momento storico, e, dopo averne pagato le conseguenze, ha intrapreso la dura battaglia contro il tempo, vincendola e ottenendo il premio dell’immortalità.
La bella musica è Donna?
La bella musica non ha sembianze umane. Tutto ciò che da una semplice attività con i suoni si trasforma in opera d’arte contiene le caratteristiche di un essere perfetto che ameremo per tutta la vita. Naturalmente vale anche per la letteratura e per le altre forme d’arte.
Ritieni che umanamente ci stiamo muovendo così tanto da rimanere fondamentalmente limitati?
L’avvento del digitale ha cambiato il nostro modo di muoverci. Prima rincorrevamo la profondità, con l’obiettivo di sottolineare il particolare di un suono, di un colore, di una parola. Eravamo lenti ma esigenti. Oggi corriamo veloci e mangiamo la strada; possediamo il Mondo. Non abbiamo, però, tempo per le immersioni. Continuiamo a galleggiare a pelo d’acqua, mirando la preda per poi raggiungerla in brevissimo tempo. Stiamo dimenticando la bellezza dei ricchi fondali.
È proprio impossibile immaginare uno stare insieme senza la musica?
La prima domanda che pongo ai miei nuovi studenti è la seguente: a cosa serve le musica? In pochi minuti esaurisco lo spazio della lavagna con le loro risposte, e il loro entusiasmo sale alle stelle. La musica, come la bellezza, non ci salverà, ma renderà la nostra vita più piacevole.
Ma oggigiorno pecca di mancanza d’ascolto chi la fa?
Premesso che ognuno possiede la propria sensibilità musicale, io non divido la musica per generi e rispetto tutte le proposte, anche quelle attuali. Naturalmente la velocità che citavo prima ha cambiato anche il modo di ascoltare le novità del momento. L’attuale musica è figlia della fretta e della poca attenzione per il particolare. Un prodotto generato dall’ascolto distratto rischia di risultare superficiale. Questa è la critica che posso fare ai compositori contemporanei. Naturalmente ci sono le piacevoli eccezioni.
Ma davvero non esistono più le mezze stagioni?
Guai a non ballare nel crinale delle stagioni. Non esistono, e forse non sono mai esistite le linee nette di demarcazione. Rifiuto il bello/brutto, buono/cattivo, bianco/nero, estate/inverno. Dobbiamo sgranare i confini e godere dell’incerto, dell’imperfetto, della variazione improvvisa di tempo e delle bislacche caratteristiche umane.
Riesci a scontare un prezzo da pagare?
Quasi mai. A volte pago più del dovuto. Il giorno che hanno distribuito l’avarizia io non mi sono svegliato. Attendo il giorno della rendicontazione finale. Non vorrei fosse troppo tardi. Temo la sindrome di Van Gogh.
Per un buon romanzo seriale non si deve mai avere ben chiaro lo sviluppo di una trama, o si dipende dal successo di pubblico (a proposito, sei abile a individuare il tuo pubblico?); e a seguito perlopiù di personaggi che si creano da sé, volti all’eterno?
Un buon romanzo che ha l’ambizione di diventare seriale deve avere uno o più personaggi indimenticabili, che entrano quindi nel cuore dei lettori. Lettori che attenderanno con ansia il ritorno dei loro beniamini. La trama, non solo in un romanzo seriale, è la meta del viaggiatore, non del turista. Il turista sa dove andrà, in quale città, in quale albergo; conosce perfino la spiaggia e la trasparenza del suo mare. Un viaggiatore si fa guidare dalla narrazione che si plasma pagina dopo pagina, dai suoi personaggi che autonomamente partoriscono altri personaggi e, nel caso di riscontri positivi, dalle richieste dei lettori. Non lo so se sono bravo a individuare il mio pubblico. Quando inizio un nuovo lavoro penso al piacere personale, naturalmente con la speranza di sintonizzarmi con quello dei lettori.
Vedi un bambino, e…?
Vedo un bambino e penso che non sia molto diverso dal me stesso bambino. Abita solo un Mondo differente. Più veloce e competitivo, ma forse anche più attraente e con più ore di luce.
Vedo un bambino e non penso a un recipiente vuoto, ma a un essere umano con la sua acculturazione natale e una legittima mancanza di esperienza vitale.
Vedo un bambino e cerco di inviargli le più disparate informazioni e i mezzi per decodificarle.
Vedo un bambino e gli dico di diffidare di chi gli vuole inviare le più disparate informazioni e i mezzi per decodificarle.
Vedo un bambino e gli dico comunque di alzare le antenne e di usare, sempre e comunque, la modalità spugna.
Vedo un bambino e… cavolo, vorrei essere come lui!
La memoria ostacola l’amore, o il consolidamento di qualcosa richiede a priori un appetito evolutivo?
Leggendo questa domanda mi è apparso Gigi Marzullo…! La memoria conserva in sé le scorie del nostro passato. Non ostacola l’amore, ma aumenta il dubbio nelle nostre decisioni future. Poi, con l’esperienza, scopriamo che il dubbio è una grande qualità umana, e allora ci riappacifichiamo con la nostra memoria. Senza un bulimico appetito evolutivo non ci sarebbero artisti e noi non potremmo godere delle loro opere.
In conclusione, pensi che uno stile di scrittura, una struttura del racconto particolari inducano alla lettura, addirittura senza preoccuparsi dei contenuti?
Una buona storia è la meta perfetta del nostro viaggio. Per le mie letture e per i miei scritti ho bisogno di una storia che mi emozioni e quindi che meriti di essere raccontata. Lo stile di scrittura è il mezzo, la modalità del nostro viaggio. Credo nella voce dello scrittore, nel modo in cui veste la sua narrazione. Un bravo scrittore, come qualsiasi altro artista, deve essere “riconoscibile”. Solo così riuscirà a vincere la battaglia contro il tempo.
Leggendo “Finis laus Deo”
Il bello proviene dall’etereo come dalle bassezze umane, ma ciò non conta… trattasi di un elemento fertile tra immensità, terrore e disconoscenza.
Il protagonista della storia si sentiva dapprima infangato, a scapito di melodie inusitate, da lui elaborate… e del resto le esperienze di vita non appassiscono, a differenza del genere umano.
Cardinali romanzando gira soavemente intorno a un infelice fatto che pare non evolversi, che però necessita di un’esposizione rigorosamente comunicativa.
Egidio Romualdo Duni degustava musica magistralmente, avanti con l’età provava a far sì che la memoria brillasse rivalutando sbagli commessi nell’ordinario.
Non tralasciando il fenomeno dell’aristocrazia, che comunicava un pensiero intellettualmente svettante intessendo relazioni a prova di rifiuto organico, acclarato di tanto in tanto da una Parigi sobria, percorribile, prima della Rivoluzione Francese.
Grazie a Cardinali si constata che il vantaggio terreno che si può trarre comporta un debito affettivo, da pagare dopo la morte, mai contrattualizzato, men che meno fissato programmando gli eventi… pur sempre fautore di dignità.
Secondo l’autore non ci sono esseri umani preparati alla fine, disponiamo di lacrime di felicità, costretti più o meno a convenire per ogni cosa.
La cultura si forbisce acquisendo un quantitativo d’immortalità da ingenui, dovendo sopperire ai sovraccarichi di precarietà, nella solitudine che ti costringe a proferir parola a vuoto.
Chi respira creando si autoesclude dalle forme di possessività, per amare od odiare in base ai fatti del circondario, un ideale altisonante per tutta una serie di emozioni.
La teatralità si colora definendosi, badando persino ai derivati volgari, difficili d’ammirare.
La difficoltà nel sostentare era richiusa nel sentimento che Duni si riservava miserevolmente… a differenza di Pergolesi, ch’era spirato puntando a respirare.
Il domani che si raffigura ambiziosamente veniva debellato con un modo di fare tanto immediato quanto scarno.
Ma la misurazione di un tono facente la musica, sferzante, richiedeva il protrarsi di tanti, troppi attimi ben legati tra di loro.
D’altronde, certe cose per farle bene, affinché contengano dei resti umani, necessitano d’impegno al momento di apprenderle.
Con questo romanzo storico si appura uno sconcerto che si manifesta primordialmente di continuo, non potendo non rimanere increduli a seguito di una constatazione abituale sì, ma che si ripropone.
Il giubilo musicato per culminare il divino cambia espandendosi puramente.
E per esempio i napoletani, pur sempre dimorando nella miseria, lavorando duramente nell’anonimato, a contatto col mare, vanno su di giri per la vita e le essenze di un periodo dell’anno fertile e rigoglioso.
Il racconto inquadra delle fragilità da comprovare di persona, senza scaricarle sugli altri.
L’inferno che si lasciava disprezzare, come pure il paradiso che andava goduto, mentalmente penetravano i giorni di Duni per animarli, indossando gli abiti del veritiero vissuto.
E Adeline stranamente compativa il maestro, passiva, con un talento da non deprecare, giacché spontaneo (in tutta probabilità).
Con Cardinali, le apparenze a malapena vengono intaccate da un suono divino, il segno di un contatto esclusivo sancisce la fede nell’intimo.
Le responsabilità si denudano per atto supremo, ma vibrano dapprima, alla radice delucidativa per il singolo individuo.
Ma la meraviglia che trasudano le note musicali riesce a ledere, arrivando ad assassinare con della personalizzabile angoscia.
Un veto agisce per mezzo di una brezza fastidiosa, con la parola emessa sinuosamente dal dubbio intoccabile dacché conforme alle strategie di un sistema lapidario.
Insomma, trattasi di frustrazioni che non lasciavano dormire Duni, come a chiedersi se il contributo musicale bastasse per innalzare l’uomo al cospetto del Signore, immensamente.
Ricordando soprattutto la bella stagione che sublimò una reciprocità di cuori (quelli di Giovan Battista Pergolesi e di Maria Spinelli), scontata giacché illusiva, tramite sciocche dimostrazioni di autorevolezza, esercitate dalle persone dello stesso sangue di Maria, sfruttando dell’alto lignaggio.
Il lettore può appurare dunque che succede normalmente di spirare, a coloro che non sono capaci di andare oltre, di cogliere l’ispirazione per tornare in vita, sensibili.
Pergolesi accelerò la scrittura dello Stabat Mater in memoria di Maria, per il mantenimento di una parola data, mentre un’imbattibile avversità incombeva, ossia un malessere incurabile e cinico.
Cardinali mette a punto la fine del romanzo senza assumersi il compito di arrecare gioia, semmai ci tranquillizza su una condizione esistenziale critica ma da non sconvolgere ulteriormente.
Difatti Duni lavorò plasmando la musica, invece quel giovane originario di Jesi, tal Pergolesi, ebbe una mente fuori dal comune, giustappunto per fare razzia di emozioni intimamente, precocemente.
Le parti in cui è diviso il racconto rievocano sinfonie settecentesche, una solidità artistica, che si sviluppa emotivamente stando ai passi compiuti in fede a un’opera, qual è proprio lo Stabat Mater.
Il protagonista, Duni, provava a svelare degli arcani circa le cose belle che il mondo propina, al fine di consacrarsi con la pace dei sensi.
(Planet Book, 2020; Pagg. 168; Prezzo: 12,35euro)
- Sergio Cardinali è nato a Jesi (An), dove attualmente vive.
Musicista e insegnante.
Ha scritto diversi testi teatrali: L’Orchestra… aspettando il terzo segnale, Lettera a Pergolesi, Rosso coraggio, La fabbrica dei Mondi, Il gelato di nuvole e La guerra di Remo (tratto dal romanzo Io sto bene, spero anche te).
Ha pubblicato i romanzi: Fiori primaverili, Le ragazze entrano gratis, Non aveva la faccia, Il bambino che seppelliva chitarre, Un regalo utile, Il viaggio che vorrei, Il regalo.
Si è dedicato alla narrativa per bambini con i romanzi seriali: Alice, il castello noioso; Alice, il pianeta ghiacciato e Alice, il gelato di nuvole.
Ha curato l’antologia Storie da ragazzi, venti racconti ideati dagli alunni dell’Istituto Comprensivo “Carlo Urbani” di Jesi.
Ha ottenuto numerosi riconoscimenti in premi letterari nazionali.