Josyel…
Di cos’è fatta la tua autostima?
Della piena consapevolezza dei miei punti di forza e di quelli deboli. So quanto valgo e dove invece è meglio che non mi cimenti.
Può richiudersi un diario che si apre?
Nulla è duraturo a questo mondo; ogni porta, ogni diario si apre e si richiude mille volte nell’arco di una vita.
Cosa succede ai tuoi sensi, presi uno ad uno, quando ti raccogli in preghiera (a proposito, in quale forma di preghiera?)?
Ho un rapporto personale con lo Spirito. Ho avuto modo di studiare Storia delle Religioni e sono laureata in Hindi, conosco bene pertanto anche le religioni orientali. Questa comparazione mi ha fatto capire che non esiste una religione perfetta, “giusta”, ma che tutte sono solo un tentativo di noi umani di dare un senso al mistero che ci circonda. Tutte hanno poi dei punti in comune, quei capisaldi che rappresentano le uniche verità per l’Uomo come razza. Non seguo quindi nessuna religione specifica, pur restando fedele alla mia di nascita, in quanto mi ritengo frutto della cultura che mi ha cresciuta.
Detto questo, rispondo più direttamente alla tua domanda: la mia forma personale di preghiera è innanzitutto un ringraziamento all’Universo, per ciò che ci mette a disposizione; quindi è un viaggio verso la dimensione dell’Abbondanza, dove poter attingere a piene mani a tutto ciò di cui ho bisogno in quel momento. I sensi, ad uno ad uno, vanno a spegnersi in questo percorso. Ciò che rimane è solo la Consapevolezza.
La poesia può rivelarsi salvifica, e se sì quando?
La poesia è Arte, è Bellezza, è sintesi e distillazione delle emozioni, e in quanto tale non può che essere benevola e benefica, in ultima analisi salvifica. Sia a leggerla che a comporla.
Ma il mestiere del poeta esiste, e se sì ti riguarda o no?
Il mestiere implica un percorso di apprendimento, l’utilizzo di strumenti specifici, tecniche consolidate e tramandate. Dal mestiere poi si può ambire al lavoro, ossia a vivere del proprio operato. Entrambe queste cose però non mi appartengono. Non sono una scrittrice di professione e non mi ritengo nemmeno una poetessa. Ho avuto la fortuna di attingere a un serbatoio di ispirazione, in un periodo specifico della mia vita, che mi ha fatto sperimentare delle vere e proprie epifanie, durante le quali non ho scritto, ma trascritto i versi che percepivo.
Bisogna essere ancora degli artisti per sapersi accontentare, in generale?
Si dice in effetti “L’arte di accontentarsi”, anche se ritengo che un artista sia più che altro uno spirito libero, senza confini e paletti, e che le sue visioni sono estreme perché provengono dall’Alto, da una fonte infinita e inesauribile. Accontentarsi è una virtù per sopravvivere, è cosa utile ma da mediocri. L’artista spesso sembra accontentarsi delle cose di questo mondo, ma soltanto perché non le considera, non gli dà valore né importanza, non fanno parte del suo sentire più ampio; sarebbe invece grave se un artista si accontentasse di non esprimersi al massimo, all’estremo delle sue potenzialità. Egli è un visionario e il suo mondo è oltre l’aspetto superficiale delle cose, lui attinge all’Infinito, al serbatoio dell’Abbondanza, dove il termine “accontentarsi” non ha più alcun valore.
Risulterà per forza naturale quel qualcosa che ci può venire bene?
A volte non conosciamo il nostro potenziale e certi talenti possono anche non svelarsi mai.
Da giornalista musicale, ritieni che quella moderna contenga tutto fuorché la musica?
Assolutamente no. La musica è un linguaggio vivo, quindi in continuo mutamento. Quella di adesso è l’espressione di questo momento storico in un contesto specifico. Pur avendo un’età che mi fa in effetti apprezzare meno la musica di oggi, ritengo che essa mantenga tutta la sua naturale valenza: vedo nei rapper, per esempio, la versione moderna dei nostri cantautori e lascio che il pubblico giovane si esalti e gioisca di ciò. Sono molto più critica sulla staticità di certa musica, invece: il pop del mainstream che si perpetua da decenni, puntellato da una schiera di addetti ai lavori fossilizzati su certi cliché di vendita, pensando che il pubblico non è pronto per altro. La verità è che il pubblico apprezza solo il mainstream perché conosce solo quello. Il discorso è molto lungo, ma ti ringrazio per aver sollevato l’argomento. Mi muovo tra il mondo letterario e quello musicale e mi piace se ci sono modi di farli incontrare.
Grazie, Vincenzo, per l’attenzione che hai dato alla mia silloge di poesie “Notti di versi insonni”, e un complimento particolare per le tue interessanti e curiose domande. Le copie sono ovviamente reperibili in tutti gli store digitali, ma mi piace sempre personalizzarle con una dedica, per cui chi ne ordina una direttamente all’indirizzo giusyelle2021@gmail.com la riceverà a prezzo scontato, compresa di spese di spedizione e con un’introduzione personalizzata. Se volete condividere con me questo misterioso mondo della notte, vi aspetto di cuore!
… Leggendo “Notti di versi insonni”
Termini delicati girano intorno a un terzetto di argomentazioni cardini; ossia l’anima con tutte le sfaccettature, che si presenta per mezzo di un’allusione religiosa, fondata guarda caso su un ritorno alla scrittura in versi coetaneo di Gesù Cristo; oltre all’incipit ecologico, facente venire idee e assimilazioni per nulla banali; e senza dimenticare la difficoltà nel prendere sonno, come se certa Josyel di dover infine maledire la parola per descrivere il buio che la circonda ma che appunto non le dà modo di riposare, pregando addirittura di perdere la creatività, qualcosa che può giungere o svanire a sorpresa.
“Non c’è Assenza senza Presenza”.
Il suo amico originario di Rovereto, l’eclettico Walter Salin, trascinato dalle poesie da lei composte, una volta elaborate e godute le ha ricreate teatralizzando e musicando, con sullo sfondo una serie d’immagini scelte per accentuarne il senso… per della gioia, quella proprio di Josyel, forte della collaborazione da parte pure di un compositore di melodie qual è Alessandro Pedretti, che l’ha sollecitata a compiere di nuovo della ricerca interiore, e di Marco Alessi, poeta illuminante personalmente, che si distingue dal generico in tal contesto.
Il buio si fa una grassa dormita per propria decadenza, e chi lo ascolta aspetta la sensazione di essere condannato alle nuove emozioni, eretto risolutivamente al limite delle intime riflessioni; con la manchevolezza ad animarsi partecipando a certi eventi che però acculturano se cogliamo il buongusto di risultati ottenibili con smussante attenzione.
“… leggo il destino
delle anime perse
E ogni piccola cosa
svela il suo segreto.”
(…)
“Nella penombra della tua ombra”
(…)
“Brontola il cielo come vecchio impaziente”
(…)
“Un mare è la goccia che si fa montagna”
(…)
“Trattengo l’acqua che non assorbo
mentre non bevo la mia sete”.
Si gonfia il petto a un certo punto, quando c’è da combattere, la natura delle cose, di ciò che possiamo godere… passionali schiarite non hanno pietà per quel fiore d’istinti che la poetessa espone da martoriata, cosicché una figura inanimata e indisciplinata si rappresenta in vista di una scalata ragionevole, d’affrontare con somma compattezza.
Esprimendo una condizione di disagio materiale può succedere che dei segni particolari cadano nel dimenticatoio, che una persona si ridicolizzi… effettivamente una fine non dipende esclusivamente da frammentazioni reali: tanto vale poetare di nascosto, la privazione del piacere di ricominciare a vivere?
Ma Josyel ama seguire parola per parola la sorte degl’invisibili, di coloro che sprofondano nella luce di ogni segreto che si scioglie semplicemente, strumentalmente; perché è complicato reagire alludendo alla libertà, perché è sconveniente il più delle volte dare un tempo preciso all’amore che serbiamo.
“La preda corre libera nel fallimento dell’agguato”
(…)
“Ciò ch’è dentro viene fuori con parto doloroso”.
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“il vento… Parla una lingua straniera mentre spazza la strada del suo cammino”.
L’attività poetica qui possiamo ritenerla pari al benessere fisico, a uno scopo che sale apparentemente su un determinato palcoscenico… i termini si armonizzano per un puzzle che raffiguri l’infinito, potendo in fondo argomentare la bellezza senza illudersi e soprattutto senza essere distruttivi.
Un elemento nient’affatto vacuo pare proprio elevarsi con tutte le fragilità del caso, per indirizzarne il contenuto senza che ci si abbassi, di un’emozione travolgente dacché gravida e inquieta; esattamente quando la sorte, personale, avanza prepotentemente, banalmente, e una sorta di acquietamento agisce ingannando l’essere nuovo benché vivente, col nero di una veste semi percettibile che aderisce alla pelle, rievocando il mondo perso nei propri meandri.
“Ma sacrificare i versi per tribolare nella prigione della veglia
Questo no!
Gatto castrato
Ingrassa indolente il vegliare senza versi”
(…)
“Fatemi andare!
Mi scappa il mondo…”
(…)
“Ascolto in silenzio il silenzio”.
Una morte interiore rischia di tagliarsi per recuperare della coscienziosità senza tempo… a riprova degli errori altrui, che deteriorano forme di nutrimento mettendole alle strette, e che non permettono a una sofferenza immateriale di liberarsi, come a racchiudere la vita e dover dunque possedere uno sfogo mai del tutto ragionevole.
“Sono parole senza voce”.