“Me Nonostante” di Emiliano Scandi
Il romanzo d’esordio di Emiliano Scandi è un viaggio attraverso il vuoto, l’assenza percepita nella carne, nel corpo, il nulla che scava e risucchia nella propria buca ogni ipotesi di orizzonte.
Ma è anche una storia d’indicibile amore, così sacro, assoluto e al contempo fragile che solo il pronunciarlo potrebbe dissolverlo. Lo si può soltanto tenere in bocca come fosse l’ostia cristiana e attendere che si sciolga e si dissolva tra lingua e palato.
Emanuele, giovane uomo al centro del romanzo, si racconta in prima persona, ci spiega le meccaniche di un corpo che non si riconosce, un corpo che si cerca e s’insegue senza mai riuscire a trovarsi, un corpo che si ama solo nella possibilità di incontrarsi un giorno diverso. Mi amo, sì. Ma alla condizione di essere altro da me.
Emanuele si definisce forte come l’acciaio e fragile come il vetro.
È acciaio nel suo vivere lo sport, passione che lo accompagna da sempre e lo porta ad affrontare l’Ironman, una delle sfide più dure in ambito sportivo.
Si allena, Emanuele, corre, taglia traguardi, esaspera il corpo, lo modifica, lo rende inattaccabile per forza e muscoli, imprendibile per velocità e prontezza.
Ma dentro, l’uomo resta la creatura che noi tutti siamo stati almeno una volta nella vita, e che mai dovremmo perdere, quella affamata di carezze e sogni, di baci in fronte e favole della buonanotte. Dentro, Emanuele porta il bambino fragile e umanissimo, il bambino-poeta che non accetta il male adulto della realtà, e rifiuta la rima senza bacio dei giorni.
In cambio di un abbraccio dell’uomo, questo bambino- poeta mostrerà ad Emanuele e al lettore il punto d’incrocio tra la bellezza e la vita.
Una storia che si snoda nei punti estremi dell’Italia, dalla Sicilia a Ventimiglia, passando per Roma, centro del nostro paese e città d’origine del protagonista. Una storia che varca il confine per arrivare a Nizza, luogo-metafora di nascita, morte e resurrezione.
Bisogna perdere tutto ciò che non siamo per arrivare a essere noi? Ecco la domanda che, riga dopo riga, emerge da questo romanzo scritto con la forza che solo la parola autentica e necessaria può avere.
Scandi scrive per contrazione involontaria, è la meccanica del cuore a dare movimento e vita alle sue parole. Il lettore riconosce nelle sue frasi brevi e sincopate il pulsare del sangue nelle vene, gli arresti e le accelerazioni di un esistere tra stupori e spaventi, nell’accadere di una realtà che ci include nel suo carnevale di demoni e fate.
Non è facile raccontare una disfatta, uno schianto al suolo che affossa la speranza. Non è facile raccontare la risalita, la spinta in alto che ti leva dalla buca e ti rimette col piede al suolo, pronto al nuovo passo. Non è facile dare voce alla perdita e lasciarla parlare fino a quando più nulla ci resta. Non è facile dal nulla che ci resta andare a capo e ricominciare, con la maiuscola di una nuova storia possibile.
Scandi ci riesce, nel suo Me nonostante l’autore dimostra che si può sempre trovare una riga pulita, una riga più sotto, dove la parola della rinascita trova spazio e respiro.
Il corpo, in questo romanzo, diventa una sorta di “narrazione” parallela, una storia nella storia, il racconto di ossa e muscoli che lottano per guadagnarsi il volto giusto, quello capace di restituire al mondo tutto il bene e tutto il male di una vita senza aggiungere né omettere nulla.
È un corpo, quello di Emanuele, che cerca la faccia della verità, l’unica che valga la pena di tenersi attaccata al collo.
Nel leggere, noi tutti ci domandiamo quanta bugia si estenda tra la nostra fronte e il nostro mento, quanta finzione ogni mattina ci dia il buongiorno allo specchio.
Nel leggere, noi tutti mettiamo in discussione i nostri volti.
Ad ognuno verrà naturale domandarsi: “Ma è vera la mia faccia?”
Una domanda che richiede coraggio. Scandi, questo coraggio, lo ha avuto.
E il suo romanzo, così nudo e sincero, ne è la prova e il risultato.
In questa storia ci s’immerge senza nulla addosso, in una vicinanza stretta di pelle e parola, tra graffi che si confessano e Carezze che perdonano!!
Qui non c’è spazio per la fuga, vince chi resta!