Avere tutto di Marco Missiroli
Dalle pagine di “Avere tutto” del 2022 di Marco Missiroli esce aria di letteratura vera, di quella che si leggeva al liceo un po’ per passione, un po’ per consiglio dei professori, e che ti rimane impressa, non è un libro qualunque.
Marco Missiroli, ravennate, scrittore delle ultime generazioni, con questa opera dimostra di avere grande capacità di analizzare e rappresentare l’animo umano, con le sue debolezze, i sentimenti e le ansie dei suoi personaggi sono descritti minuziosamente.
La storia di Sandro, che va a trovare il padre Nando, i ricordi di infanzia e della giovinezza, la malattia del padre, la morte, una storia triste, di quelle che suscitano emozioni.
I personaggi principali sono tutti e due dei perdenti, una vita prudente quella di Nando, rimasto vedovo, con la passione del ballo, e il suo unico azzardo il “Salto Scirea” e il “Grande inciampo” a una gara di ballo di tanti anni prima, in cui il salto non è riuscito, e le innumerevoli prove successive, per riuscire a “volare” come il giocatore della Juventus, e sfidare la forza di gravità.
Una vita a rotoli quella di Sandro, la malattia del gioco che gli fa perdere decine di migliaia di euro, le difficoltà a farsi una famiglia, le difficoltà con il lavoro.
Echi di Joyce e del suo flusso di coscienza nel racconto di Sandro e delle sue vicende sui tavoli da gioco, raccontate in una maniera che mette quasi angoscia quanto è precisa ed impietosa, la descrizione degli altri giocatori, una fauna umana quanto mai variegata. Le sensazioni provate quando vince, quando perde, quando ha le carte in mano, quando punta e rilancia, quando lo fanno gli altri, le tecniche di gioco affinate durante gli anni, le vicissitudini legate ai debiti di gioco, alla continua ricerca della fortuna, al tentativo di “avere tutto”, e ritrovarsi poi senza niente, senza soldi, senza famiglia, senza affetti.
Echi di Dostojevskj e del suo “Giocatore” ma qui, dopo Svevo, Pirandello, e decenni di psicanalisi con Freud, Jung, si scende di livello, ma solo apparentemente.
Mentre Dostojevskij descriveva tutta la psicologia del giocatore, lo stato d’animo che lo portava a giocare, e poi a non smettere più, e tutto questo aveva quasi una sua “nobiltà”, era quasi un testo di psicologia, qui si analizza e si descrive altro. Missiroli descrive il sordido mondo dei tavoli da gioco dove si perdono anche 20-30.000 euro in una serata, gli sguardi tra i giocatori, i contatti preliminari per essere ammessi al tavolo, i vari tipi di tavoli e i vari tipi di avventori, i calcoli che si fanno i giocatori prima, durante e dopo il gioco, le astuzie, i pagherò, un mondo squallido.
Sandro appare come un perdente, un personaggio che apparentemente azzarda, osa, ma in realtà in tutta la sua vita non ha mai avuto il coraggio di fare niente, anche se magari aveva anche un talento per il suo lavoro pubblicitario, ma non può che apparirci un personaggio di una bassezza straordinaria, specie quando ruba ai suoi genitori per pagare i propri debiti da gioco, quando svuota il suo conto in banca per andare a giocare, per sfogare sul tavolo da gioco tutta la sua mancanza di voglia di dare un senso alla sua vita.
Nando, il Pasadel, anche è un perdente, ma a suo modo un personaggio commovente, con la sua Renault 5, il suo orto, le corse dei cavalli pure lui, la sua delusione per il figlio, ma mai fatta vedere, mai esternata, e poi la malattia, descritta anche fin troppo bene, le braccia che annaspano nell’aria, la gamba penzoloni dal letto, la sua morte con le braccia alzate quasi a voler afferrare qualcosa in alto, più in alto, qualcosa che non ha mai avuto nella vita, una narrazione coinvolgente e convincente.
Cosa faresti con un milione e se potessi tornare indietro nel tempo? E’ il ritornello rivolto più volte a vari personaggi del libro, e nessuno sa dare una risposta precisa, forse perché se ognuno avesse saputo cosa fare lo avrebbe fatto e basta, milione o no, e se si trova in una determinata situazione è solo perché lo ha voluto, o perché non ha saputo fare altro.
In vari punti accostamenti e associazioni di idee sono molto profondi, la narrazione concisa e nervosa salta continuamente dal passato al presente, apparentemente senza una logica precisa, in realtà la logica c’è, come ad esempio quando descrive gli ultimi istanti di vita del padre insieme alle vicende del gioco, intende accomunare due situazioni che spiegano e descrivono entrambe le miserie umane, sia fisiche che morali.
C’è un riscatto a queste miserie? Forse sì, e Sandro lo sapeva, anche se non ha avuto la forza di uscire dalla sua situazione: come un serial killer che vuole essere scoperto un giorno gioca a caso, vuole perdere, vuole avere uno shock che lo allontani dal giro, ma il tentativo non riesce e si perde fino alla fine.
Echi di Fellini e dei suoi Vitelloni in una Romagna molto trasformata nel corso di questi 70 anni, Sandro non vuole capire che oramai è diventato grande e non è più il tempo di rubacchiare i soldi dal barattolo dei risparmi dei genitori, che forse è il caso di mettere la testa a posto e costruire qualcosa. L’estate è finita, e come in quell’acquazzone improvviso di una fine estate del 1953 con cui inizia il film, è tempo di mettersi al riparo, non è più il caso di restare in spiaggia, un’altra stagione sta per iniziare e bisogna farsene una ragione.