Leggendo “Sotto il ponte del diavolo”, di Antonella Twinblack Scarfagna
Melissa s’era dileguata nel nulla, né più né meno, ma la gente del posto per la maggior parte cominciava a immaginare per lei il peggio, manco fosse andata a miglior vita. A dimostrazione che occorre temere coloro che fanno ancora sia il bello che il cattivo tempo respirando, e permettere che i defunti riposino in pace per l’eternità.
Che precipitassero negl’inferi le leggi per un vivere convenevole. Melissa aveva un nonsoché di felino, talmente indomita da strapparti la vista, ma perché privata dei sinceri affetti da subito, per carattere diversa dai coetanei che frequentava. Senza contare il patrigno (…), che riteneva che le persone di sesso femminile per natura si tirassero indietro, che ogni volta attendessero la violenza dell’uomo di turno per “puro” bisogno. Eccerto, le donne allora desiderano sottomettersi, farsi strattonare, come se incuranti di ciò che verrà…!
Ecco quindi la percezione di un soggetto che c’invoca, un diavolo in corpo pronto a deprimerci, caratterizzando uno e più stati d’ansia prima, e di stanchezza poi.
Memorie angoscianti richiedono un districarsi. Sta di fatto che, a differenza di Luiz, Enea non si allontanava in definitiva… n’era conscio il primo, provava o no del dispiacere come minimo per la sorte conseguita dalla sua creatura?
Che poi i fantasmi mica si divertono a far del male.
Melissa faticava a sostenere i comuni pettegolezzi, anche se capita di non esserne affatto indifferente, anzi… che tornino utili!
Ma Enea continuava a mirare all’istante quella sua difficoltà a deglutire, ghignando per il battito di vita lasciato scoperto dalla figliastra, troppo facile da possedere.
Dentro la logica di Melissa irruppe di colpo, di nuovo il richiamo della madre, circa le prese d’istinto dei maschi provetti che le sbavavano attorno, specie di chi la sapeva già lunga come il tanto sognato Cristian.
Ebbe modo comunque di rifiatare prendendo tutto il proprio tempo, roba che poco prima stette sospesa tra la vita e la morte, senz’accorgersi minimamente di ciò.
Un’anima oscura s’infittiva in maniera ulteriore, stavolta senza dileguarsi, mantenendo quindi una certa posizione e sorbita da tratti più che distintivi. Nel temere qualcosa ci facciamo prendere in giro dal creato, eccessivamente; c’isoliamo coi nostri brividi… eppure mirando all’ingiù di quel ponte nel bosco Melissa divenne preda di un caos indefinibile.
Del resto, che senso aveva svanire nel nulla? Magari così facendo diviene facile spaziare tra i desideri di una vita, tipo proprio allontanarsi di netto da chi ti vuole male, stare in pace con se stessi.
La madre, Anna, sapeva essere gelosa di lei, bramandola fino a formarla senza se né ma, in base cioè a delle delusioni scottanti, mortificanti, per le quali Melissa c’entrava… nulla.
La protagonista di questo romanzo, oltre che invisibile causa il corso degli eventi, meritava allora di essere emarginata in via definitiva? L’attimo in cui l’onestà intellettuale va a farsi benedire, beh, investe tutti prima o poi. Fuori dall’immaginario, le sorprese, sia belle che brutte, si avventano eccome sull’umanità che cela volentieri, nessuno escluso, dei particolari.
Il fratello di Cristian, Francy, in effetti aveva una cotta per Melissa; l’ancor più strano Omar lo riferisce a Bea che a sua volta ci rimane di stucco, e figuriamoci se anche la diretta interessata non n’era a corrente!
Ma pure colei che viene considerata a priori un’acqua cheta in realtà è in grado di rapportarsi con carnale faciloneria per trarre vantaggio da determinati, lapidari contesti civili.
E poi, immortalare come girare un video all’insaputa di un dato soggetto mica significa annientarlo e per giunta criminosamente.
Conveniva proprio non ficcare il naso in questa storia raccapricciante? Apparve per giunta Emilio, una persona a nudo, che invitò Bea a pazientare sul conto dell’amica, Melissa, per poi dileguarsi. Eppure questi dava adito a niente di mostruoso, valeva stare ad ascoltarlo, andava considerato semmai preda della malasorte.
Quanto riportato a parole da Melissa intimamente era oggetto ulteriore di smarrimento, rivelazioni in tutta probabilità determinanti per far sì che si comprendesse al meglio l’accaduto.
Le minacce di morte vertevano sull’estraneo, proprio coloro che l’elaboravano pareva che le prendessero sottogamba.
Le impressioni su di sé nuocevano, come se irrilevanti.
Vigeva la certezza sulle responsabilità altrui, ma tra esseri umani capaci di recitare delle parti magnificamente, terribilmente, e cioè di fare qualcosa di utile per sopravvivere o tutelare la dignità.
E comunque anche talune signore hanno modo di far fuori taluni signori, senza pensarci due volte.
Sinceramente Bea soffriva intanto, consapevole di starsi a raccontare il falso nell’ammettere pubblicamente che Melissa non fosse morta.
Azzeccare una riflessione personale su questo caso voleva dire quasi passare il tempo in leggerezza, con l’intuizione dunque a prevalere sulle conoscenze.
L’umanità continuava a fare del cinema in grande stile per soddisfare quel desiderio di celare il marcio interiore. Si poteva allora uccidere per aiutare degli affetti?
Altrimenti, il benessere sociale come lo si raggiunge?
La speranza dell’autrice ritorna a consistere nel diritto per chiunque lettore d’interpretare un testo di vita, godendo magari al pensiero di com’è stato composto dalla suddetta.
Tecnicamente, si denota una scrittura fluida ed empatica, intima ma universale, diretta ed essenziale.
Questo thriller si nutre dell’intenzione di un’autrice che non si erge a moralista, né a modello di comportamento, né a filosofa, curiosa semplicemente dell’esistenza volendo conoscerla dettagliatamente.
La Twinblack, trovata la storia con ambizione, ne ha cercato il mistero con ritrosia.
Il pensiero dominante offre spunti persino in nonchalance, di un’intensità visionaria ricacciabile in profili tracciati con familiarità e imprendibilità.
La scorrevolezza dei momenti essenziali viene assunta da dialoghi incalzanti, di un’amarezza intimistica, tra figure e atmosfere di attendibilità sociologica o di rappresentatività antropologica.
L’ambientazione è di un’unicità compatta, contribuisce al delicato equilibrio narrativo, scandito dal primo all’ultimo capitolo.
Sommessi i moti dell’anima, tra disillusioni, cadute, speranze e ammiccamenti, che l’autrice riproduce in una forma leggibile e piacevole, ben capace d’immergere la storia nella cruda attualità; scavando nella psicologia dei personaggi per rivelare sentimenti profondi e/o ragioni inconfessabili, coi toni che ne sottolineano i legami caricandoli.
Sì, la narrazione si riflette in idee, momenti e situazioni dal linguaggio pressoché schietto al repentino, sottilissimo cambio di registro che si manifesta tra i dilemmi e i tormenti di figure drammatiche che non stonano; ben assortite da un ron ron esistenziale vista la mancata interrogazione su quel che si dice quotidianamente.
Permarranno destini per i quali si necessita la concretezza dell’inchiesta, la scossa alle coscienze, più interna ch’esterna; dall’ascolto pervaso dai botta e risposta tra luoghi comuni comunque energici, ritmici.
Libro preparatorio per una riflessione sulla vanità di certezze noiose e banali, che s’affaccia sul Male con parole realistiche e visionarie.
Il lettore si sente parte della narrazione quando la scrittura fa arrabbiare lo stomaco, quand’è emblematico il coacervo di rifiuti sulla presenza umana, della povera protagonista.
Con lo spazio lasciato all’azione e alla cronaca, ecco che l’emozione diventa corrosiva, per una coralità di personaggi dal respiro sempre più corto e dai dialoghi sempre più identificativi.
L’anima della protagonista, Melissa, assume la forma di un cerchio che si stringe, e ne deriva oltre alla compattezza del romanzo una ferocia di presenze di materiale drammatico.
Ferocia attenuabile semmai grazie a un’atmosfera descritta per umori velati; a un insieme di odori, sensazioni, sapori legati alla terra nera del romanzo, che allude a un senso di depressiva solitudine, pieno di attese.
Merito di una scrittrice che affronta di petto il pubblico come la vita in generale; la cui ripetitività di parole e frasi non mortifica bensì aiuta ad aderire al senso profondo delle richieste che contengono, a sfatare dei tabù, dei microcosmi chiusi, in cui anche il sentimento puro diventa devastante ricerca della fisicità.
Attraverso il personaggio di Bea, la Twinblack e il suo stile di scrittura avvolgente cercano infatti di accendere la luce sul senso dei caratteri di un mondo umano, pregno d’echi, d’impronte trascorse e mai passate; come di esplorare i confini di un universo disumano, e quindi cupo e claustrofobico.
Per quell’amicizia, di una sacralità pur intrisa di sospetti e conflitti irriguardosi, che lega appunto Bea a Melissa, e dunque all’incisività di uno sfondo narrativo.
Come ogni thriller che si rispetti, il finale è con colpo ad effetto; dopo una serie di episodi cruenti e trucchi retorici, con un tema attualissimo, inerente al disagio giovanile e individuale, che s’imbestialisce sorprendentemente, mirando passionalmente al respiro di Bea, così vicina alla Morte.