Cessate il fuoco
Cessate il fuoco. Lo stesso fuoco ardente delle fiaccole, accese ieri, dalle migliaia di manifestanti a favore della pace, a Roma, in un corteo partito dal Colosseo e finito a piazza del Campidoglio, promosso da Europe for the Peace.
Un anno di guerra. Di massacri, di morti, di distruzione. Un anno in cui la parola negoziato di pace è stata pronunciata pochissime volte, praticamente mai dall’Italia e dall’Unione Europea. Perchè?
L’articolo 11 della costituzione italiana recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ciò nonostante l’Italia fornisce armi ad un paese straniero, nemmeno appartenente alla stessa comunità di Stati, per fronteggiare un conflitto che non la vede direttamente coinvolta. Allora perchè non fornisce armi anche al popolo curdo, vittima di massacri da parte della Turchia? O alla Palestina? O allo Yemen costantemente sotto attacco dell’Arabia Saudita?
Dalle dichiarazioni dei maggiori leader europei e della Nato, la sensazione è quella che vi sia interesse che questa guerra duri il più possibile, non considerando, come al solito, che tra un tiro di dadi e lo spostamento di un carro armato sul tabellone del Risiko, ci sono ogni giorno centinaia di morti.
Se è vero che Putin è un uomo crudele e senza scrupoli, da condannare a spada tratta, anche Zelensky non spicca per umanità. Fare video in cui si invoca alla resistenza, o dove, ancora peggio, si vuole apparire come un supereroe, non denota umanità e raziocinio ma solo egocentrismo e apatia.
Dire, in risposta provocatoria a Berlusconi (non un esempio di moralità e buona politica per carità), che sia facile parlare quando la propria casa non viene distrutta dalle bombe, allo stesso tempo, verrebbe da rispondere che è facile parlare quando sul campo a morire sono altri, nello specifico i propri concittadini. Da qualunque parte la si veda, anche se, uno può sembrare più cattivo di un altro, santi, nel complesso, non ce ne sono.
Speriamo nella Cina.