Mostra romana dell’artista Kamal Sabran.

“Nafas” a cura di Camilla Boemio, è la prima mostra romana dell’artista malesiano Kamal Sabran.
La parola “Nafas”, che in malese significa respiro, è profondamente simbolica e stratificata nel
significato. Rappresenta la vita, il movimento, il ritmo e le forze invisibili che sostengono
l’esistenza. Come titolo, “Nafas” è potente nella sua semplicità, ma espansivo nella sua
interpretazione. È una connessione tra la natura e l’esperienza umana.
Il respiro è anche un atto di ricordo. I video dell’artista catturano il polso di paesaggi che
esistono da tempo, ma che sono in continua evoluzione, come ricordi trasportati dal vento o il
respiro silenzioso della terra in attesa di rinnovamento.
Sabran è stato uno degli artisti presentati nella mostra Pera + Flora + Fauna. The Story of
Indigenousness and The Ownership of History, evento ufficiale collaterale della 59 a edizione
della Biennale di Venezia, nel 2022, commissionato da PORT e dal Governo dello stato di
Perak, Malesia.
La mostra si compone di due lavori video: Ssegar Angin, presentato la prima volta alla Biennale
di Venezia nel 2022 e Bendang, video inedito.
Proprio come il respiro sostiene la vita, Ssegar Angin e Bendang esplorano l’interconnessione
dell’esistenza umana con la natura. L’aria mutevole, i campi ondeggianti e i sottili cambiamenti
di luce e consistenza ci ricordano che tutto respira insieme in armonia.
In Ssegar Angin, il regista Sabran evoca un fluido arazzo in movimento, composto dal suono e
da un rituale ancestrale, una performance che trasporta dolcemente lo spettatore lungo le
correnti del fiume Perak a Ipoh, a Perak, in Malesia. L’opera non è semplicemente girata in
esterni; nasce dalla superficie riflettente e in continuo cambiamento dell’acqua e dallo spirito
senza tempo delle tradizioni curative malesi.
Sullo sfondo dei ritmi fluidi del fiume Perak, Ssegar Angin cattura sia la dimensione fisica che
quella simbolica della natura. L’acqua increspata diventa uno specchio di trasformazione
interiore, un palcoscenico vivente in cui gli elementi vengono reinventati come agenti di
guarigione. Questa connessione con il mondo naturale è parte integrante dell’intento della
performance, suggerendo che il restauro e il rinnovamento sono parte del paesaggio tanto
quanto lo spirito umano.
La seconda opera proiettata, Bendang, si dispiega come un’odissea evocativa nell’anima dei
campi di riso di Ipoh, dove le forze elementari della terra e dell’aria si fondono con l’antico battito
del rituale culturale. Diretto da Kamal Sabran e in collaborazione con la coreografa Aida Redza,
questo spettacolo trascende i confini convenzionali, fondendo movimento, spazio e suono in
un’opera d’arte viva e pulsante.
La coreografia di Aida Redza è un dialogo luminoso tra fluidità e precisione. Ogni gesto, sia
spontaneo che meticolosamente raffinato, riecheggia la cadenza senza tempo della natura
stessa. Il suo stile di movimento, caratterizzato da una sorprendente miscela di vulnerabilità e
forza, trasforma il corpo umano in un veicolo di espressione, catturando i momenti effimeri tra
terra e cielo. Nelle sue mani, il palcoscenico diventa una tela su cui convergono i sussurri del
passato e gli impulsi del presente, evocando ricordi di riti ancestrali e rituali di guarigione che
hanno a lungo sostenuto il nostro spirito culturale.
A sostenere questa poesia cinetica c’è un paesaggio sonoro sperimentale ancorato
all’armonium. I suoi droni risonanti, reinventati attraverso un’innovativa manipolazione sonora,
creano un arazzo uditivo che è tanto inquietante quanto trasformativo. Il timbro meditativo
dell’armonium permea l’atmosfera, tessendo un dialogo sottile, ma implacabile, con le fasi
coreografiche. È un suono che ronza con il misticismo della tradizione, ma pulsa con un tocco
contemporaneo: un ponte sonoro che collega i ritmi terrestri dei campi di Ipoh con la vasta
distesa della coscienza interiore.
Ambientato tra i vasti campi di riso di Ipoh, Bendang è sia un omaggio, che una reinvenzione
del patrimonio culturale malese. La visione registica di Sabran trasforma il paesaggio in un
partecipante vivente della performance, impregnando l’ambiente naturale di risonanza
simbolica. Qui, i campi non sono semplicemente uno sfondo; sono narratori attivi che
raccontano i cicli di crescita, decadimento e rinnovamento, una metafora dell’eterno viaggio
dello spirito umano.
In Bendang, ogni movimento e nota diventano una meditazione della trasformazione. L’opera è
un invito ad arrendersi al potere curativo dell’arte, una chiamata a riconnettersi con le energie
primordiali che plasmano il nostro mondo e a risvegliare le forze dormienti dentro di noi.
Attraverso questa sintesi di poesia visiva e suono sperimentale, la performance emerge come
un rituale luminoso di rinascita, dove tradizione e innovazione si fondono in una danza che è
senza tempo, ma anche urgentemente contemporanea.