Leggendo “Triathlon e Ironman – La psicologia del triatleta”, di Matteo Simone
Questo testo lo si deve affrontare incuriositi e rallegrati dall’idea di cominciare un nuovo percorso dimensionale.
In movimento costante e sostenuto succede d’iniziare a voler intendere il perché di certe sfide estenuanti.
L’autore si caratterizza esistenzialmente per mezzo del no-limits, consapevole che un notevole dispendio d’energie arrechi risultati positivi, avendo da scovare l’eterno, specie per quanto concerne ai quarantenni.
I lettori appureranno un’alternanza costituita da auspici, volontà, timori e intenti da perseguire da soli come in presenza di altri, con la vicendevolezza delle emozioni.
Il limite lo si necessita di superare a patto di apprendere ciò che siamo, con un cervello in dotazione, lesto complice a forza di proseguire, senza rassegnarsi alla paura di fallire, che ha reso migliori addirittura quei soggetti che consideriamo mitici.
Qualsiasi sfida non è altri che una parte di un viaggio da fare assolutamente, e cioè pur essendo pieni di dubbi, dato che, oltre al giudizio che ci meritiamo, si registra l’importanza di partecipare alla determinazione del vissuto.
Sportivamente si dimostra che nonostante tutto quello che succede nutriamo delle capacità tali d’assicurare sul trasporto emotivo per il genere umano, che richiede l’univoco incanto, scrollante il regime affettivo individuo per individuo.
Ecco che si pone in essere la felicità, e torna rilevante lo spirito di squadra, come a volerci sentire tutelati e mai smarriti.
Il bello di riconoscersi sportivi per puro passatempo si riferisce alla creatività scacciante la solitudine, preservando ugualmente le diversità in rapporto alle doti della persona di sicuro affidamento, che si reputa in grado di soddisfare il circondario.
Gli atleti soffrendo manifestano il piacere di vivere, fedeli al meglio da conseguire colmando vuoti emotivi, dimodoché il corpo torni opportunamente in sesto, in vista di ostacoli che variano sempre più spesso.
In virtù dell’idea di sacrificarsi immensamente, sfidando la sorte per avere la meglio su difficoltà tanto immediate quanto demoralizzanti, è possibile cogliere quel lampo d’impressione rievocante la più pura delle emozioni.
Del resto, quando ci si mette a gareggiare non se ne esce proprio più, la mente si lascia pervadere di continuo da un’attrattiva innovatrice per la forza interiore, con la voglia di essere i primi a giungere a un traguardo inusitato, sottintendendo perfino il piacere di giocare.
Diventa essenziale gestire delle ragioni personali, fedeli ogni volta a un elaborato attuabile, e comunque con tutta l’energia umana, quella che non smette mai di sorprendere.
Piuttosto acquisisce rilievo in casi come questi il dialogo, che porta a influenzare e convincere gl’inesperti sulla corretta metodica.
Nessuno si deve sentire arrivato, viceversa prevarrà di colpo la rassegnazione… fissare delle mete all’occorrenza è un bene per l’intuito, per praticare un’attività sportiva e realizzare quel che siamo con straordinaria lucidità.
Serve dunque concentrarsi sulle proprie forze per valere in mezzo agli altri, svolgendo un’attività sportiva, ossia portatrice di leggi vitali, efficaci, lungi dall’energia negativa d’individui che non fanno altro che lamentarsi, spacciando pettegolezzi per suggerimenti propositivi.
L’autore approfondisce tramite le risposte al suo questionario, con le parole di esseri umani che passerebbero inosservati se non fosse per quell’animo sportivo che non conosce limiti, che illumina con la buona forma, avvincendo dall’oggi al domani, rappresentando una novità in assoluto.
Con il guanto della sfida da impugnare, e che fa commuovere se lo pregusti, col ritorno all’innocenza… tra le stelle gravide di desideri.
La difficoltà di una gara, se maggiorata, amplifica la meraviglia di una vittoria, con il cervello a imporsi orchestrando l’organismo, annientando i disadattamenti che scaturiscono da questioni travolgenti ma che non devono mai e poi mai stravolgere le persone.
Maturando, la ragione si espande tramite il sostenuto andamento corporeo, e le persone oltre a ritenersi atletiche possono apparire di buon umore, inclini al confronto civile tanto da concedere delle dritte, riaccendendo sentimenti in modo autorevole.
Ovviamente procedendo a un ritmo crescente spunta quella sensazione d’isolamento ma alla quale si può rimediare con la buona sorte esercitata da relazioni strette e soprattutto comprensive.
Per il triatleta gli ostacoli sono diseguali, e ciò lo rileva chiaramente una volta che li scavalca, disponendo di mezzi primari che diventano tali con la sperimentazione di una strategia consona al fatto di doversi sentire pronti a una gara.
Al talento provvede inizialmente e per l’eternità il divino con della spontaneità destante incanto, quel che conta è raffinarlo e qualificarlo attivamente, con una riflessione considerevole, dacché fedeli e possibilisti.
Il buono di noi in pratica si esaurisce subito in mancanza della metodica per svilupparlo, col lasciapassare ahinoi dell’abuso di farmaci, che invece modella atleti inanimati, che di certo avranno da perdere ignorando la bellezza scaturita dalle emozioni.
La continuità comporta la riacquisizione delle forze mai tardiva, in tante attività sportive che comunque dovrebbero attingere da quelle che brillano per un elemento qual è la resilienza, dimodoché ne possa trarre vantaggio la società senza quindi demonizzare ogni forma di diversità.
Succede dunque di possedere un dono della natura, un qualcosa da sfoderare fisicamente, con coraggio, gareggiando fino a mutare nel profondo, e rinfrescare sentimenti e tematiche… ovvero credendo nei sogni per poterli realizzare!
Occorre una presenza immensa affianco, e cioè di un’umanità incitante, fautrice della retta via, per la quale capita di mutare tanto nel comportamento, nell’approccio con le sfide da lanciare e rilanciare, nell’espressione, insomma: non alludendo mai agli anni che passano…!
Ne va di un’emozione da vivere, di un’anima da sciogliere poiché condivisibile.
Superati certi limiti, in esclusiva non puoi non ringraziare la superficie venuta calpestata per ogni principio d’attribuire a ogni attimo, col pensiero di agevolare prestazioni fisiche degnamente, essendo allora capace di non temere più smarrimenti e livelli altisonanti.
L’evoluzione secondo Matteo Simone appartiene alla coscienza da riaprire concentrandosi di più sugli obiettivi d’agevolare, non smettendo mai di ascoltare gli esperti per rafforzarli come caposaldi nella misura di un compito da eseguire senza perdere tempo a lamentarsi.
Gli psicologi difatti agiscono perlopiù soffermandosi sull’atmosfera che regna in un dato team, intercettando ciascun soggetto influenzante il singolo sportivo.
Terminata una gara di solito si ha modo d’essere felici con un’interezza da riprodurre e rilevare, con il corpo che sprigiona vita, che stimola una costanza da perseguire, agevolata dagli affetti determinanti negli stati di fermo, ovvero quando si è malconci.
La straordinarietà di una prestazione è un peccato non prolungarla motivando la naturalezza di un aspetto fisico, altro che la farsa insita alle sostanze dopanti, che se integrate all’organismo causano una dipendenza del tutto intima, infinita.
A un’attività sportiva si accede con la fortuna d’aver deciso qualcosa, a seguito del bisogno di recuperare le forze, volendo rimanere suggestionati dalla sensazione d’essere all’altezza di una qualsiasi responsabilità che si alleggerisce cavalcandola.
Ogni qualvolta si compiono degli exploit viene percepita una quiete in precedenza come nel mentre che dipende in realtà dalla certezza di stare sulla buona strada, da un qualcosa che specialmente si ricompone lungo un decennio di allenamenti in vista delle Olimpiadi.
Il buono di noi non smette mai di sorprenderci, senza contare che pure lo sportivo abituato a vincere può disporre di una psiche momentaneamente fragile… e comunque sarebbe opportuno conquistare la fiducia di chi si prodiga lealmente, respirando aria pura.
Quando sportivamente si osa è inammissibile il benché minimo errore, dovendo gestire meticolosamente la situazione che si viene a creare col sacrificio da precisare senza destare mai imbarazzo sia per sé che per gli altri, in un tempo da ritagliare solo per allenarsi.
Il vincente si conferma tale aldilà di una forma da mantenere possente e articolata, bensì senza tralasciare alcunché umanamente, consapevole di dover refrigerarsi in pausa per quel desiderio di accelerare liberamente fino a poter superare gli avversari.
Ciononostante una condizione di stress va presa sempre in considerazione per esteso, preparandosi a una gara attribuendo un valore determinante a ogni singola debolezza, per rappresentare appieno delle possibilità.
La riflessione si perpetua con una disamina futuribile del metodo per ricominciare a essere predisposti a una gara, viceversa s’incentiva la mortificazione per la mancanza dell’attitudine alla pratica sportiva.
Spesso vale la pena lasciar perdere una gara in corso stando nel complesso bene invece di tagliare il traguardo degenerando fisicamente sotto diversi sintomi, seppur i se e i ma irrompano poi, con tutta la fragilità del caso, non essendo appunto delle macchine.
Però niente più volge all’assoluto, da qualsiasi punto si comincia, e magari con la gioia ch’è fondamentale per il compimento di un’esperienza necessaria, e con un senso della collettività da ricercare per far sì che si semplifichino sfide e cure.
La bellezza di un paesaggio piuttosto favorisce l’andamento atletico, visto che solo i superficiali non concepiscono il trasporto emotivo.
La formazione e le barriere insite al fisico come alla ragione, monitorate combattendo e vigilando per lavoro, comportano facilmente la sportività dell’individuo; essendo nati per agire, per partecipare a degli eventi sferzanti il fisico, lanciando o no il guanto della sfida.
Ci si appassiona a qualcosa col cuore che batte senza dar retta ad alcuna diceria, con l’allenamento da ripassare bene in testa prima di farlo e rassodare così il corpo e dunque la necessità d’elaborare modi per sciogliere quesiti invece di sviarli per mezzo dell’irreale che ti apre nessun orizzonte.
Matteo Simone desiderava essere più forte dei suoi limiti, e c’è riuscito concretizzando il suo cambiamento senza improvvisare e con dedizione, nello stesso arco di quel tempo che porta alla nascita di una creatura.
Si sconfina disponendo di una cultura straordinaria, legando la riflessione all’azzardo con un’anima da espandere se si vuol riconoscere amorevolmente le emozioni più elementari e colmare dunque il respiro.
D’incanto notiamo che la bellezza non ci passa indifferente, elettrizzando la possibilità d’inventare degli appagamenti, d’imparare dalle esperienze come usare il cervello in maniera inimmaginabile.
Effettivamente ciò che non torna dipende dall’esserci illusi, manco fossimo invincibili… tanto vale allora decelerare proprio per quell’intento di eccedere per soluzioni univoche, con il bene e il male fedeli solo a sé stessi.
L’estremità la si raggiunge credendo di cambiare la realtà, e magari facendo gruppo per una missione qual è gareggiare.
Il realismo va smussato, altrimenti viene meno la ragione per vivere, l’idea di convincere impressionando le persone care, per mezzo di una dignità da nutrire, in particolare quando molti seminano terrore e ci vuole pertanto della sana arguzia nel prodigarsi immediatamente.
Il respiro lo si fa per il piacere di cogliere l’attimo, di amare, divorando distanze col benessere… per qualcosa di nuovo che si manifesta se agiamo, se sfidiamo le nostre capacità per ridestare e rimettere in ballo l’infinito, composto d’aspirazioni da distinguere prima e sviluppare poi.
Di certo i triatleti non s’annoiano, e se per vivere conta il sacrificio allora è impossibile che una competizione si renda semplice.
Col potere d’immaginare si patrimonializza il carisma, specie per quel che concerne ai fondisti, atleti che smaniano creativamente.
Questo testo è frutto della cortesia nel narrare emozioni con un’indole sportiva, stimola l’ottimismo a colpi di suggerimenti circa il fatto di non mollare mai, indirizzandosi verso un motus operandi per non smettere di sapere chi siamo, senza avere paura di guardarci dentro.